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domenica 6 luglio 2008

Underground

E' passato un pezzo dall'ultima volta che ho scritto sul blog...a dire il vero non ne avevo molta voglia, per scrivere ci vuole un'ispirazione e qualcosa di interessante da dire. Non avendolo, è inutile anche mettersi.
Adesso però qualcosa da scrivere ce l'ho. A parte il fatto che mi laureo e che quindi ormai il mio percorso di studente uni è finito, devo dire che ho rivisto un film che avevo visto solo a spezzoni e che mi ero sempre ripromesso di finire.
Non è un mistero che io sia un fan di Emir Kusturica, che considero alla stregua dei pittori fiamminghi: i suoi film, al di là di tutte le vicende tragiche che raccontano, di una Jugoslavia martoriata dalla guerra ma sempre capace di vivere in un'allegria sgangherata (bella definizione della copertina del film: <>), i film del regista serbo sono un ritratto del funzionamento fantasioso e sui generis della società balcanica, confusa ed allegra, ma in modo spesso malinconico ed evocativo. Gli animali che corrono dappertutto e che spesso rappresentano la costante dei singoli film e l'innocenza di un popolo (i gatti in Gatto nero gatto bianco, la scimmia in Undeground), la confusione che regna sempre e comunque, gente che corre, gente che fa i mestieri più disparati (richiamo ai Bruegel). Mi verrebbe da dire film corali, alla Altman, in cui la costruzione della storia include personaggi che si integrano progessivamente per poi dare il meglio nel finale, dove tutto giunge a conclusione in un climax ascendente che fa culminare la storia in una vera e propria favola, spesso con toni surreali. Pensiamo a La vita è un miracolo, dove il protagonista inizia a viaggiare su di un letto-tappeto volante, rievocando il misticismo orientale del viaggio sopra le teste degli uomini, in un atto purificante per il mondo e per chi vuole dare un'occhiata al di sopra dei destini miserabili dell'umanità, in un'imitazione antropica del divino essere che tutto vede. Un genio, verrebbe da dire. Kusturica, che per Underground ha preso la Palma d'Oro a Cannes, è un poeta moderno, una voce della coscienza che riesce nelle sue opere a costruire mosaici di significato profondissimi, con una simbologia la cui complessità è difficilmente reperibile in altri registi moderni.
Proprio la simbologia è forse uno dei tratti più salienti di Underground, ed è un tratto che si comprende solo nel finale, quando l'osservatore capisce come l'uccisione del fratello da parte del protagonista simboleggia la continua strage compiuta tra popoli slavi fratelli, che sotto Tito avevano raggiunto quella dimensione familiare che l'eterna aspirazione di tutti i Balcani.
Allo stesso modo, l'immaginaria rete di strade sotterranee che collega i vari stati d'Europa è un modo per dire come il legame che unisce i popoli europei sia allo stesso modo profondo e poco visibile. La genialata è rappresentata dalle numerose tabelle collocate in queste gallerie sotterranee che indicano la direzione per le varie capitali d'Europa, in un continuo traffico di gente che scappa dai Balcani in fiamme per rifugiarsi in Italia, Germania, Grecia, dappertutto pur di scappar via.
L'idea portante è quella di una comunità di serbi di Belgrado che, allo scoppio della seconda guerra mondiale, decide di rifugiarsi in un bunker sotterraneo dove attende la fine dei combattimenti. Una piccola comunità (quasi) autosufficiente, che costruisce armi che poi però finiscono nelle mani del protagonista, l'unico trait d'union tra essi ed il mondo esterno, colui che per quindici anni tiene loro nascosta la fine del conflitto, in modo da arricchirsi. La sua è però un'azione che, se da una parte riprovevole per lo sfruttamento che opera a loro danno, è anche (lo dice lui stesso) un modo per difendere questi uomini dal brutto del mondo, un mondo che nel frattempo cambia e che essi fanno fatica a riconoscere una volta usciti. E' un po' la metafora dell'uomo che si sente Dio, che nasconde all'umanità il brutto del mondo, facendoli vivere in un universo quasi perfetto, dove il cibo-pappa per cani è lo scotto (una sorta di ignoranza) da pagare per potere vivere in una realtà protetta. Quando, infatti, complice la compagna del protagonista-Eva, si presenta la possibilità per i reclusi di uscire a combattere in quello che credono ancora un mondo in guerra, si presenta loro una realtà differente da quello che si immaginavano, un mondo nel quale non si riconoscono più, dove non riescono più ad inserirsi ed in cui perdono la propria identità.
E', in fin dei conti, uno dei tanti colpi di genio di un film pieno di rimandi, politici, religiosi e filosofici, un classico che, come indica il termine stesso, non finisce mai di dire qualcosa.

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